Afla1Milk: un progetto per abbattere le contaminazioni da aflatossine

Attraverso minisilos e fermentatori ruminali, l’Università Cattolica e l’Università di Udine stanno sperimentando strategie per abbattere la contaminazioni da micotossine

Il problema legato alle micotossine nel mais si accentua nelle stagioni ad alta temperatura e bassa piovosità: una situazione quanto mai attuale, dunque.

«Le osservazioni degli ultimi anni – ci riferisce il professor Antonio Gallo, del Dipartimento di Scienze animali, della nutrizione e degli alimenti (Diana) dell’Università Cattolica – mostrano come le condizioni meteo che favoriscono il rischio di contaminazione, in particolare del mais, da parte di aflatossine siano in aumento. E d’altro canto bisogna considerare che i trattamenti di inattivazione post raccolta attraverso metodi fisici e chimici sono impraticabili o poco efficaci».

Come agire

La strada per affrontare il problema delle micotossine nel mais è dunque un’altra, e passa dal controllo delle fermentazioni nei silos e nel rumine delle bovine. Perché è in questi ambienti, molto attivi dal punto di vista microbiologico, che può avvenire quell’azione detossificante da parte di molte specie di microorganismi, già da tempo studiata e dimostrata da ricerche scientifiche.

Si tratta dunque di orientare favorevolmente le fermentazioni, sia durante l’insilamento che a livello ruminale; obiettivi che possono essere ottenuti sia attraverso l’utilizzo di additivi sia per mezzo di approcci nutrizionali studiati ad hoc.

Il progetto Afla1Milk

Per favorire il raggiungimento di questi obiettivi, già nel 2018 il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha attivato un progetto di ricerca chiamato Afla1Milk (Progetti di ricerca fondo latte - D.M. N. 27443 del 25/09/2018), affidandolo a due gruppi di nutrizionisti dell’area animale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Università di Udine. Il progetto, ancora in corso, prevede di verificare, tramite la tecnica dei minisilos, come le diverse condizioni di insilamento (quali durata e tecniche di insilamento), nonché l’impiego di inoculi lattici commercialmente disponibili, possano interferire con la microflora che si sviluppa durante lo stesso insilamento e attuare meccanismi di detossificazione/biotrasformazione, reale o apparente, dell’aflatossina AFB1.

Inoltre, mediante l’impiego di un sistema innovativo di fermentazione in vitro in grado di simulare l’ambiente ruminale viene testato l’effetto detossificante nei confronti dell’aflatossina B1 di alcuni fattori dietetici sui quali è possibile agire, entro certi limiti, modificando le razioni delle bovine da latte. In sostanza, il progetto si propone di valutare se il microbiota presente negli insilati e quello presente a livello ruminale siano in grado di attenuare il contenuto di sostanze tossiche prodotte dallo sviluppo dei funghi, aflatossine in particolare, e quindi di sanificare l’alimento o ridurre la concentrazione iniziale della tossina.

Minisilos e fermentatori ruminali

Più nello specifico, i ricercatori della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università Cattolica di Piacenza hanno lavorato su campi sperimentali di mais appositamente inoculati con Aspergillus in modo da ottenere insilati volutamente contaminati. Alla raccolta il prodotto fresco è stato introdotto in minisilos (da 13-15 kg di prodotto fresco in secchi di 20 l) che possono essere sottoposti ai diversi trattamenti, quali differente compressione, umidità, durata di insilamento oppure essere aggiunti di additivi per l’insilamento o microrganismi diversi. Una parte di questi insilati, è stata inviata da Piacenza al gruppo di Udine, che lo ha utilizzato come base per fermentazioni ruminali in vitro. Anche in questo caso, ai fermentatori vengono aggiunti gli additivi più promettenti usati nella fase di insilamento, così come vengono variate le condizioni di fermentazione: utilizzo di diverse condizioni di pH o diversi rapporti foraggi/concentrati.

I risultati

Mentre il lavoro dei ricercatori dell’Università di Udine è ancora in corso, le sperimentazioni condotte dalla Cattolica di Piacenza hanno fatto emergere dati incoraggianti. «Per quanto riguarda l’insilamento – ci spiega il professor Gallo – è stato verificato come l’impiego di inoculi lattici commercialmente disponibili possa interferire con la microflora che si sviluppa durante questo processo e attuare meccanismi di detossificazione e di biotrasformazione, reale o apparente, dell’aflatossina AFB1. In particolare – prosegue Gallo – gli effetti antimicotici di batteri lattici sono legati alla loro produzione di metaboliti come acidi organici (ad esempio acido propionico, acido acetico), batteriocine o composti fenolici». È d’altro canto noto da tempo, come questi microrganismi possono causare la depolarizzazione della membrana del lievito, ostacolando così la crescita dei funghi. È stato inoltre osservato come i batteri possano adsorbire le micotossine nelle loro pareti cellulari.

Le ricadute positive per la zootecnia

«Progetti come questo – sottolinea il professor Francesco Masoero, Ordinario di Nutrizione e alimentazione animale e direttore del Crei e del Diana – hanno ricadute dirette positive sugli allevamenti zootecnici. Perché i risultati che stiamo ottenendo insieme a colleghi dell’Università di Udine – si traducono in indicazioni pratico operative di tipo alimentare-dietetico che, assieme alle linee guida igienico-sanitarie già previste per legge e ad altri interventi di tipo alimentare, favoriscono concretamente il rispetto dei limiti soglia di aflatossina B1. Con vantaggi per l’allevatore che si traducono in produzioni lattiero-casearie più efficienti per la trasformazione e più sicure per il consumatore. Insomma – conclude Masoero – un bel vantaggio per tutta la filiera».