La carne coltivata, o carne "cell-based", è uno degli argomenti più innovativi e discussi nel panorama dell'industria alimentare. Viene spesso indicata come una delle principali innovazioni del settore e considerata da molti come il cibo del futuro. Ma di cosa si tratta esattamente? La carne coltivata è un prodotto ottenuto in laboratorio partendo da cellule animali. Queste cellule vengono prelevate tramite biopsia, un processo che, pur essendo un po' invasivo per l'animale, non richiede la sua uccisione. In alternativa, possono essere utilizzati campioni di tessuto muscolare. Le cellule prelevate vengono poi coltivate in un ambiente sterile e controllato, dove si moltiplicano fino a ottenere una quantità sufficiente di cellule. A questo punto, le cellule vengono trasferite su uno scaffold, una sorta di "impalcatura" che le supporta e le organizza, permettendo loro di formare un piccolo pezzo di “carne”. L'intero processo avviene tramite incubazione delle cellule in incubatori e bioreattori. Gli incubatori garantiscono le condizioni ideali per la crescita delle cellule, mantenendo temperatura, umidità e livelli di anidride carbonica costanti, come avviene nel corpo dell'animale. I bioreattori, invece, sono apparecchiature più complesse che forniscono alle cellule nutrienti e ossigeno necessari per continuare a crescere e svilupparsi su larga scala. Questo ambiente controllato simula il processo naturale di crescita del tessuto muscolare.
Le sfide (e le criticità) della carne coltivata su larga scala
I dati della FAO indicano che a livello globale ci sono 1,5 miliardi di bovini, 1 miliardo di suini, un numero simile di ovini e caprini, e ben 16 miliardi di polli. L’integrazione della carne derivante da questi animali con prodotto coltivato in vitro è una sfida significativa. Attualmente, le cellule vengono coltivate utilizzando il siero fetale bovino, che contiene ormoni naturali, e per far proliferare le cellule è necessario utilizzare fattori di crescita. Questi componenti hanno costi elevati, e sarà fondamentale trovare fonti alternative per la produzione su larga scala.
Le cellule in coltura necessitano di aminoacidi essenziali per crescere, che devono essere forniti tramite microorganismi o attraverso l'idrolisi di proteine vegetali. A differenza dei ruminanti, che producono proteine ad alto valore biologico grazie alla loro microflora ruminale, la carne coltivata solleva interrogativi sulla sostenibilità della trasformazione di queste proteine in un prodotto alimentare. È lecito chiedersi se sia preferibile consumare direttamente queste proteine anziché trasformarle in carne coltivata.
Le implicazioni economiche e sociali
Attualmente, i costi di produzione della carne coltivata sono molto elevati e non è chiaro quando e se questi diventeranno competitivi rispetto alla produzione tradizionale. Questo aspetto è cruciale per determinare la fattibilità commerciale della carne coltivata sul mercato globale.
Lo sviluppo industriale della carne coltivata richiede ingenti capitali, attrezzature sofisticate e tecnologie avanzate gestite da personale specializzato. La produzione su larga scala di aminoacidi, fattori di crescita e altri componenti essenziali è un processo complesso. La maggior parte degli animali allevati nel mondo si trova in paesi a basso reddito, dove rappresentano la base della sussistenza per milioni di famiglie. I piccoli allevatori, che dipendono da uno o pochi capi di bestiame, potrebbero essere tra i più colpiti da questo cambiamento.
Una ricerca all’Università Cattolica
In conclusione, è necessaria un'ampia ricerca prima che la carne coltivata possa diventare una realtà sostenibile. È probabile che questa tecnologia affiancherà i metodi tradizionali di produzione, tenendo conto di fattori come i costi, le dinamiche sociali e i servizi ecosistemici forniti dalle razze zootecniche. È fondamentale raccogliere dati accurati e applicare il metodo scientifico per valutarli. La ricerca deve quindi concentrarsi non solo sull'innovazione tecnologica, ma anche sulla sostenibilità e sull'integrazione con le pratiche tradizionali. Come ci spiega Maria Antonietta Palumbo – che nell'ambito del suo Dottorato di ricerca sta lavorando su questi temi – presso il Dipartimento di Scienze animali, della nutrizione e degli alimenti (DiANA) dell'Università Cattolica di Piacenza-Cremona è partito un progetto di ricerca – coordinato dal professor Paolo Ajmone Marsan – che mette a fuoco diverse questioni chiave legate alla carne coltivata. Questo studio si concentra in particolare sugli aspetti di innovazione delle tecnologie alimentari, sostenibilità e impatto economico. Attualmente, la ricerca mira a ottimizzare i mezzi di coltura attraverso la clonazione di fattori di crescita bovini, per migliorare la crescita e lo sviluppo dei tessuti. Si stanno inoltre testando scaffold adeguati all’organizzazione cellulare, con un particolare interesse per l'uso di Aspergillus oryzae.