Sdib: un modello di benessere animale completo e integrato

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Lo ha sviluppato il Dipartimento di scienze animali della nutrizione e degli alimenti (Diana) dell’Università Cattolica e considera oltre seicento parametri

 

Sono ancora molti gli equivoci che serpeggiano nelle nostre società contemporanee sul concetto di benessere animale. Lo si nota continuamente, quando su questo tema molte persone collegano il benessere a sistemi di allevamento che, tra i non addetti ai lavori, richiamano situazioni di presunta naturalità. Chi invece queste cose le studia a fondo, e da anni, sa che il benessere è una caratteristica intrinseca all’animale allevato, influenzata da molti fattori esterni e che mostra un carattere di oggettività e di misurabilità.

Gli animali allevati, come noi, del resto, sono sottoposti a molti fattori stressanti che possono minarne il benessere, ed è di primaria importanza saper cogliere e correggere quelle situazioni nelle quali gli stress superano determinate soglie; anche perché la prima vittima dello stress animale è la produttività zootecnica.
Il raggiungimento di un adeguato livello di benessere dei capi in allevamento è peraltro di grande importanza per noi tutti. Per gli allevatori, perché il benessere è positivamente correlato con lo stato di salute e con le performance sia produttive (più produzione e di maggior qualità) che riproduttive (migliore fertilità, carriere in stalla più lunghe) e quindi con la redditività dell’allevamento. Ma è importante anche per i consumatori: il benessere animale è una garanzia della qualità e salubrità delle produzioni di latte, carne e derivati. È rilevante, infine, per tutta la società, che si mostra sempre più sensibile alle necessità degli animali e si preoccupa che vivano in condizioni adeguate e confortevoli; senza dimenticare le ricadute positive di tipo ambientale: un animale in condizioni di benessere inquina meno e usa meno farmaci grazie a un sistema immunitario più efficiente.

Ma come definire e come misurare il benessere animale? Ad oggi, ogni definizione si deve rifare alle cosiddette “cinque libertà” introdotte con il Brambell Report del 1965: libertà da fame e sete; dal disagio; da ferite dolore e malattie; da paura e stress; di esprimere un comportamento normale per la specie a cui l’animale appartiene.
A partire da questi assunti, lo stato di benessere può essere valutato oggettivamente con metodo scientifico, misurando parametri che stimino la capacità degli animali di adattarsi in modo soddisfacente al contesto in cui sono allevati. Si usano indicatori diretti (Animal-based criteria), ovvero misurati sugli animali e indiretti (Design-criteria), relativi all’ambiente di allevamento e alla gestione degli animali; questi indicatori vengono poi ponderati e sintetizzati in un giudizio che esprime lo stato di benessere di un individuo o di una popolazione.
Esistono vari modelli di valutazione del benessere degli allevamenti di bovine da latte. Tra questi abbiamo quello sviluppato dal Crenba (Centro di referenza nazionale per il benessere animale) dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna, basato su parametri indiretti (management, strutture, attrezzature e condizioni microclimatiche) recentemente evoluto nel metodo Classyfarm; il Welfare Quality® sviluppato nel corso di un progetto europeo, che include 12 criteri riguardanti 4 principi (alimentazione, strutture, salute e comportamento); il modello Sdib (Sistema Diagnostico Integrato Benessere) sviluppato dal Dipartimento di scienze animali della nutrizione e degli alimenti (DIANA) dell’Università Cattolica.

Sdib: il modello che considera oltre seicento parametri

«Sdib – ci spiega il professor Erminio Trevisi, Ordinario di Zootecnia speciale all’Università Cattolica – valuta il benessere animale attraverso tre cluster: “ambiente”, “alimentazione” e “animale”. Da questi, il sistema fa discendere sei componenti che si declinano in oltre seicento indicatori. Sdib – prosegue Trevisi – prevede una valutazione complessiva di benessere dell’allevamento, risultante da una media pesata dei punteggi di benessere ottenuti da ogni gruppo di animali presente nell’allevamento valutato. Ciò significa poter avere non solo indicazioni generali sull’intera azienda, ma anche informazioni specifiche per singolo gruppo allevato».

Operativamente – ci spiegano dal Diana – si inizia con la definizione di tutti i gruppi di animali presenti in allevamento (esclusi i maschi), e di questi si specificano la struttura di stabulazione (ad esempio una stalla a tutti gli effetti, o un box individuale-multiplo tipo igloo), la categoria zootecnica (vitelle, manzette, manze, vacche in asciutta, vacche in lattazione), il numero di capi per gruppo e il peso medio degli animali. Dopo queste operazioni preliminari, si procede con la compilazione dei form relativi ai singoli gruppi di allevamento suddivisi nei tre cluster.
Nel primo cluster, focalizzato sull’ambiente di allevamento, sono raccolti dati riguardanti le strutture di allevamento e gli impianti presenti unitamente alle loro condizioni di management. Si considerano dunque fattori quali/quantitativi relativi agli edifici di stabulazione, ai box, alle zone di alimentazione e mungitura ed alle attrezzature presenti; considerando dimensioni, tipi di copertura e pavimentazione, aperture, abbeveratoi ecc. Dati produttivi relativi al latte e riproduttivi dei capi allevati definiscono, insieme a parametri sanitari, la valutazione sul management.
Nel secondo cluster sono raccolti i dati riguardanti l’alimentazione dei vari gruppi allevati. Dunque, si parla di razione, in termini quantitativi e delle principali componenti alimentari (energia, proteine, amido, fibra, integrazione vitaminica-minerale) e dello stato di conservazione degli alimenti, a partire dai foraggi aziendali (es. insilati e fieni). Nell’ultimo cluster sono valutati diversi indicatori diretti su circa il 10% dei soggetti, riguardanti il comportamento e le condizioni in cui si trovano (es. stato di ingrassamento, pulizia del mantello, condizione dell’apparato mammario e locomotore, caratteristiche delle deiezioni), performance produttive riproduttive e sanitarie (presenza di patologie cliniche, lesioni o ferite).