I filtri a sabbia
Tra queste tecnologie primeggiano i cosiddetti filtri a sabbia. La filtrazione a sabbia (slow sand filters, SSF), come tecnica di purificazione dell’acqua era già presente nel XIX secolo. Questo sistema è dunque utilizzato da anni ed è essenziale per accedere ad acqua pulita e sicura per il consumo umano, soprattutto nei paesi a basso reddito (Pbr). In queste aree, la filtrazione a sabbia non è soltanto semplice ed economica, ma è anche il metodo di trattamento dell’acqua più efficiente e sostenibile per rendere autonome le famiglie nell’ottenimento di acqua potabile. I filtri a sabbia sono uno strumento di trattamento dell’acqua in grado di controllare i contaminanti microbiologici, grazie alla formazione di un biofilm gelatinoso costituito da un complesso strato biologico che si forma sulla superficie della sabbia. Oltre alle alghe, questi biofilm biologicamente attivi sono ricchi di batteri, diatomee, protozoi, metazoi, funghi e rotiferi. L’insieme di questi microrganismi è responsabile del processo di purificazione dell’acqua; inoltre, il biofilm intrappola anche particelle di sostanze estranee e contaminanti che vengono degradate dalla comunità microbica.
Una ricerca grazie al C3S
In uno studio condotto nell’ambito del Centro di servizio C3S (Cibo sufficiente, sicuro e sostenibile) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e realizzato presso il Cerzoo (l’azienda sperimentale d’Ateneo), si è andati a valutare l’efficacia del sistema di filtrazione dell’acqua, mediante filtri a sabbia, sulla carica batterica totale e su specifici ceppi batterici patogeni. Per eseguire questa sperimentazione sono stati realizzati cinque filtri a sabbia utilizzando materiali comuni di facile reperibilità anche nei PBR: tubi in plastica, colla, ghiaia, ghiaino e sabbia. L’efficacia dei filtri è stata testata misurando la carica batterica dell’acqua in entrata e di quella in uscita dal filtro, attraverso un’analisi microbiologica per determinare la riduzione batterica di enterococchi, batteri aerobi totali ed enterobatteriacee. L’acqua utilizzata è stata raccolta da fossi di scolo con acqua caratterizzata dall’avere in modo “permanente” una carica batterica elevata (anche potenzialmente patogena). Queste prove sono state ripetute in diverse stagioni per valutare l’impatto della temperatura sulla comunità microbica nei biofilm e sull’efficienza del processo di purificazione. In aggiunta, campioni di biofilm sono stati raccolti nei diversi periodi dell’esperimento ed analizzati con tecnica del sequenziamento del 16S rRNA per classificare la comunità batterica presente nei filtri.
Buoni risultati soprattutto a temperature ambientali elevate
I risultati dell’analisi microbiologica dei campioni di acqua così filtrata indicano che già a basse temperature (<12 °C) l’utilizzo dei filtri ha permesso la riduzione dei batteri aerobi totali (riduzione di 1 log, pari a 10 volte); ancor meglio la riduzione dei potenziali patogeni: le enterobatteriacee di 4 log (pari a 10.000 volte) e gli enterococchi di 3 log (pari a 1.000 volte). Gli stessi filtri, a temperature più elevate (>12 °C) hanno mostrato un miglioramento significativo della capacità di abbattimento dei batteri aerobi totali con riduzione di 2 log (100 volte) e con una riduzione di 3,5 log degli enterococchi, sebbene quest’ultimo dato non sia statisticamente significativo.
Questi risultati preliminari mostrano, quindi, una migliore potabilizzazione dell’acqua con l’utilizzo dei filtri a sabbia a temperatura in media superiore a 25 °C, e suggeriscono che la temperatura influisce sulla crescita e sullo sviluppo del biofilm microbico, da cui ne consegue una sua maggiore efficacia. Infatti, un aumento di temperatura da 12 a 32 °C ha portato a un incremento del numero totale di batteri nel biofilm presente nei filtri, Peraltro, le comunità microbiche dei biofilm che si sviluppano nei filtri di sabbia possono variare per effetto di numerosi fattori, tra cui: le caratteristiche microbiche dell’acqua immessa, la temperatura, l’età del biofilm e le condizioni climatiche del luogo in cui operano i filtri.
Lo studio apre la strada a nuove ricerche
Un altro aspetto importante emerso dalla ricerca condotta al CERZOO è che i batteri presenti nei cinque filtri sono molto simili tra loro e questo implica una replicabilità dei filtri di sabbia quando viene usata la stessa acqua di partenza; questa è una garanzia fondamentale per gli utilizzatori dei Paesi dove manca la possibilità di controllo.
In sostanza, i risultati di questo studio confermano efficacia ed efficienza dei filtri a sabbia nella direzione di rendere potabile l’acqua. E dimostrano anche che la temperatura è un fattore molto importante per il funzionamento di questa tecnologia, sia sullo sviluppo del biofilm microbico, sia sulla riduzione batterica nell’acqua filtrata. Conoscere la composizione della comunità batterica dei biofilm si conferma un fattore essenziale per migliorare il rendimento dei filtri a sabbia. Tuttavia, la comunità microbica dei biofilm è molto complessa e diversi fattori contribuiscono all’efficienza della filtrazione a sabbia. Sono dunque necessari nuovi studi focalizzati soprattutto sulla rimozione dei patogeni (una minaccia per la salute pubblica) e sulla verifica in loco del rendimento dei filtri nelle specifiche condizioni operative.