Gruppo C3S: un viaggio in Etiopia per fare il punto della situazione e attivare progetti di sviluppo sostenibile

Attività C3S

L’Etiopia, è il secondo Paese più popoloso del continente africano (circa 130 milioni) dopo la Nigeria, da alcuni ritenuta la culla della nostra specie per il ritrovamento di uno scheletro di australopiteco (di femmina denominata Lucy, che abbiamo potuto ammirare al Museo di Addis Abeba) che costituisce un ponte tra i primati e gli Homo sapiens sapiens. Nel territorio etiopico origina il Nilo azzurro che confluirà in quello bianco a Karthoum in Sudan; esso si caratterizza per aree di altopiano, fra i 2000 e i 3000 m s.l.m., piuttosto ricche di acqua ed aree “basse” (anche sotto il livello del mare) spesso desertiche.
In Etiopia convivono numerosi gruppi etnici, in larga misura (80%) dediti ad una agricoltura di sussistenza basata su caffè (che qui pare abbia avuto origine), legumi, semi oleosi, cereali (fra cui il teff, dal quale si ricava il “pane” tradizionale: l’injera), patate, canna da zucchero e ortaggi. Secondo Gebregziabher Gebreyohannes, precedente Ministro dell’agricoltura etiope, è paradossale la circostanza che, all’enorme presenza di bovini, pecore, capre, polli, camelidi, ecc., corrispondano consumi irrisori di carni, latte e uova rispetto a quelli necessari per evitare la malnutrizione (specie nei bambini). La ragione, non dissimile da quella che spiega una diffusa insicurezza alimentare nel Paese, è la bassissima produttività degli animali (e delle coltivazioni).

L’obiettivo di C3S: attivare centri pilota locali di sviluppo
Il gruppo di lavoro C3S (Produzione di cibo sufficiente, sicuro e sostenibile) , è nato nel 2011-12 grazie a un finanziamento della Fondazione Invernizzi, in vista di EXPO2015 di Milano, erogato alla Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Lo scopo era (ed è) quello di far sorgere Centri pilota locali nei Paesi a Basso Reddito (che qualcuno chiama oggi Paesi meno sviluppati), onde attivare forme di sviluppo rurale per quanto possibile “autogestite” in grado di portare a soluzione il predetto problema della bassa produttività in agricoltura. Dopo le esperienze in India e Repubblica Democratica del Congo, nel 2013-14, siamo stati coinvolti dall’Onlus “Un chicco per Emdibir” di Broni (PV) nel tentativo di estenderla all’Etiopia (Guraghe, zona a sud-ovest di Addis Abeba), dove un Vescovo molto attivo e lungimirante dell’Eparchia di Emdibir (Abune Musiè Ghebreghiorghis), tentava in tutti i modi (in campo medico-sanitario, scolastico, e anche agricolo) di aiutare quella popolazione a crescere in salute, competenze tecnico-culturali, nonché a minimizzare i problemi della fame e della malnutrizione.

Zootecnia ancora poco sviluppata
Purtroppo, l’insufficienza delle disponibilità finanziarie da un lato, ma anche una certa “ritrosia” delle autorità etiopiche ad accettare interventi non perfettamente allineati con i loro programmi, ha portato ad attività piuttosto limitate e volte a migliorare soprattutto le tecniche di coltivazione degli ortaggi. Ben poco si è invece fatto in campo zootecnico (essenziale, si è detto, per ridurre la malnutrizione), nonostante l’Eparchia possieda una stalla con vacche da latte, suini, ecc.; ciò perché non è facile decidere fra una rapida intensificazione (molto appariscente, sì, ma molto costosa e difficile ad autosostenersi), ed un percorso di graduale adeguamento della realtà attuale mediante l’innovazione sostenibile (via che sarebbe percorribile anche dalle famiglie rurali).
Stanti queste difficoltà, accentuate dalla “sosta” imposta dal Covid, ma soprattutto a seguito dell’avvento nei mesi scorsi di un nuovo Vescovo (Abune Lukas Teshome Fikre), il nostro gruppo ha ritenuto opportuna una visita all’Eparchia di Emdibir (fra il 15 e il 26 novembre) per aggiornare il programma di azioni ed approfondire la possibilità di interventi sia in campo medico-sanitario e della scuola, oltre che in quello dell’agricoltura.

Un progetto orientato a educazione, salute e sviluppo agricolo
Il nostro ritorno in Etiopia, dopo alcuni anni, ci ha anzitutto permesso di osservare un grande fervore di opere, specie nelle città, ma anche in alcune aree e settori dell’agricoltura (sorprendente, ad esempio, la grande diffusione del mais e l’avvio di un’importante meccanizzazione, dai trattori sino alle mietitrebbie). Contemporaneamente, si è notato un sempre maggiore distacco dei giovani dall’attuale agricoltura che – soprattutto per quelli istruiti – non è compatibile con le loro aspettative di vita (di qui l’abbandono verso le città e, in prospettiva, i Paesi sviluppati?). 
Tutto ciò ha rafforzato la nostra convinzione che, nei Paesi meno sviluppati, anche il mondo dell’agricoltura deve essere preparato in fretta al cambiamento, pur graduale, senza attendere un eventuale, spontaneo evolvere delle generazioni. L’ideale sarebbe, quindi, agire sulla popolazione, contemporaneamente in tre direzioni: educazione, salute e sviluppo agricolo (prodromico per quello più generale). Realisticamente – tenuto conto del contesto e delle nostre possibilità operative – ci è parso ragionevole proporre l’avvio di un progetto che metta insieme le tre predette direzioni, ma limitandolo ai primi anni di vita dei bambini (fase critica per prevenire la malnutrizione). In breve, ciò significa finanziare e guidare tecnicamente la produzione di una miscela di farine alimentari reperibili in loco e in grado di riequilibrare la dieta dei bambini; da notare che il suo utilizzo avverrebbe in collaborazione con le strutture mediche e le scuole che fanno capo all’Eparchia di Emdibir, rafforzando il concetto che alla salute complessiva contribuiscono il cibo, la medicina e la cultura. Indubbiamente si tratterà di una “goccia nel mare”, ma facilmente estensibile se altri vorranno a ciò finalizzare la propria beneficenza.
Circa i possibili effetti sulle condizioni generali di vita nelle aree rurali, non è facile prevedere, ma già accrescere la consapevolezza che una dieta corretta è prioritaria, potrebbe costituire un importante risultato nella giusta direzione dello sviluppo.


Elena Passadori – presidente di CHICCO Onlus
Giuseppe Bertoni e Vincenzo Tabaglio – rappresentanti di C3S (Produzione di cibo: sufficiente, sicuro e sostenibile)